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Il buio dietro la divisa

Psicologa, Psicoterapeuta, EMDR

Il buio dietro la divisa Il buio dietro la divisa

Tesi di Laurea della Dott.ssa Silvia Carlenzoli

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI VERONA

 Corso di Laurea in

Scienze della Formazione nelle Organizzazioni

Classe L-24 Scienze e Tecniche Psicologiche

Tesi di Laurea

“IL BUIO DIETRO LA DIVISA”

STRESS E SALUTE NELLE FORZE DELL’ORDINE E NELLE FORZE ARMATE

 Relatore:

Ch.mo Prof. Sartori Riccardo

 Laureanda: Carlenzoli Silvia

Matricola: VR419942

Anno accademico 2019/2020


A mia nonna Barbara,

che spero di aver reso orgogliosa di me,

e a mia mamma,

che mi ha insegnato ad essere forte,

a rialzarmi dopo ogni caduta,

ad avere il coraggio di vincere ogni sfida

e ad essere in grado di fare della mia vita

un capolavoro.


Introduzione

 Alla base di questo elaborato c’è l’analisi degli eventi stressanti a cui ogni giorno sono sottoposti gli operatori delle Forze dell’Ordine e delle Forze Armate. In particolare l’attenzione è posta sui fattori principali che causano stress e sulle strategie preventive, sia derivanti dall’esterno sia interne alla persona.

Il mio interesse per questo argomento deriva soprattutto da motivi personali. Essendo la fidanzata di un lavoratore delle Forze dell’Ordine, ogni giorno vengo in contatto con i suoi stati d’animo e con le situazioni che vive.

Questo interesse, legato a molti fatti accaduti e a storie che mi sono state raccontate dai suoi colleghi, mi ha fatta riflettere a fondo e mi ha fatta giungere alla conclusione che gli agenti delle Forze dell’Ordine e Forze Armate non hanno a disposizione sufficienti aiuti psicologici e che spesso non vengono ascoltati dalle persone che hanno accanto.

Visto il mio coinvolgimento in questo argomento ho pensato di parlarne spiegando le mansioni degli agenti e gli stressor legati alla loro professione.

L’obiettivo della tesi è porre l’attenzione sulla pericolosità a cui si va incontro quando lo stress che deriva da situazioni contingenti fortemente a rischio, sia fisico che psicologico, non viene trattato nel modo coretto. Inoltre la mia intenzione è comunicare il bisogno di ascolto e di supporto che i lavoratori delle Forze dell’Ordine e delle Forze Armate hanno in ogni momento.

L’elaborato è articolato in tre capitoli:

Il primo capitolo riguarda il quadro legislativo in cui sono inserite le norme che trattano dello stress sul lavoro; in questa parte del mio lavoro vengono esposti il significato e lo sviluppo dello stress lavoro-correlato. Questo capitolo si concentra soprattutto sui rischi psicosociali e le loro forme.

Nel secondo capitolo, dopo una spiegazione riguardante le Forze dell’Ordine e le Forze Armate, l’accento viene posto sugli stressor presenti nel loro lavoro e sulle strategie preventive necessarie.

Infine, nel terzo e ultimo capitolo, vengono esposti i risultati di un questionario, basato sulla scala del Brief COPE, che mostra quali strategie di coping vengono maggiormente utilizzate dai poliziotti, carabinieri e militari.

Cap. 1: Lo stress e i suoi rischi sul lavoro

1. Decreto Legislativo 81/2008

In Italia nel 2008 fu siglato l’Accordo interconfederale, che accoglie l’Accordo europeo del 2004 firmato a Bruxelles, nel quale gli obblighi di valutazione e rischi di natura psicosociale vengono sostituiti dallo stress lavoro-correlato.

Oltre all’Accordo interconfederale, il 9 aprile 2008 fu approvato il D.lgs. 81/2008 “Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro”.

Il decreto esplicita l’obbligo per le aziende di condurre una valutazione di tutti i rischi per tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori compresi i rischi psicosociali e di stress lavoro-correlato.

Con tale decreto fu riconosciuto che la sicurezza e la salute psicofisica dei lavoratori possono essere minacciate sia da fattori ambientali di tipo fisico, chimico e biologico, sia da fattori di natura psicosociale, gestionale e organizzativa.

Fu introdotta l’idea che i rischi psicosociali nel lavoro nascono dall’interazione tra il contenuto del lavoro e le competenze, risorse e bisogni dei lavoratori.

Una discrepanza in questa interazione può creare delle situazioni di stress lavoro-correlato.

Queste discrepanze negli individui possono generare insoddisfazione, disagio psicologico, comportamenti che compromettono la loro salute o patologie fisiche e mentali.

Si possono inoltre verificare anche esiti negativi sul piano organizzativo, che generano conflittualità, assenteismo, minore produttività, turnover fino a creare un danno all’immagine dell’azienda.

Con il D.lgs. 81/2008 l’Italia si allinea alle moderne strategie di azione elaborate dall’Unione europea per combattere lo stress lavoro-correlato.

Il lavoro della Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro, art. 6 del D.lgs. 81/2008, fornisce alcune indicazioni operative su come intendere i rischi psicosociali e sulle metodologie per valutarli.

Secondo la Commissione, la valutazione è formata da due fasi: “la valutazione preliminare necessaria” e “la valutazione approfondita” che sarà effettuata solo se emergono rischi e le misure correttive risultano inefficaci.

Le indicazioni riferite dalla Commissione consultiva rappresentano un primo passo per un percorso operativo che deve tener conto delle differenze individuali per diagnosticare il benessere organizzativo ed occasioni di crescita.

2. Definizione e sviluppo dello Stress Lavoro-correlato

La parola “stress” deriva dal latino strictus, stretto.

Lo stress può essere collegato all’affaticamento o alla pressione percepita dalle eccessive richieste ed è tipico di chi pensa di dover far fronte a più richieste di quante ne possa gestire.

Secondo l’Organizzazione per la salute e la sicurezza britannica Health and Safety Executive (2009), “lo stress è la reazione degli individui di fronte a eccessive pressioni o altri tipi di richieste da assolvere.”

Anche se lo stress ha una connotazione negativa, spesso nella nostra vita abbiamo bisogno dello stress per agire, è l’elemento che ci dà una spinta per andare avanti. Diventa problematico quando il corpo, la mente e le emozioni sono bersagliate da continue richieste che richiedono l’utilizzo di risorse esaurite. È a questo punto che un eccesso di stress arreca danni alla salute e al nostro benessere generale.

Nell’Accordo quadro Europeo del 2004, lo stress nell’ambito lavorativo viene definito come quella condizione, accompagnata da sofferenze o disfunzioni fisiche, psichiche, psicologiche o sociali, che scaturisce dalla sensazione individuale di non essere in grado di rispondere alle richieste o di non essere all’altezza delle aspettative. Quando si verifica questo, la situazione inizia a diventare preoccupante.

Ciò che nel lavoro fa innescare lo stress si lega a caratteristiche riguardanti l’ambiente lavorativo, che vengono percepite e valutate dal lavoratore. Dopo la valutazione della situazione, la risposta psicofisica da stress nasce quando ci sono richieste che vanno oltre le risorse o le capacità personali oppure quando si scontrano con i propri bisogni.
Inizialmente la reazione è a breve termine, ma può portare a patologie da stress che sono reazioni a lungo termine.

Nel processo di stress, troviamo tre elementi importanti: stressor, cioè le richieste lavorative, strain, le risposte psicofisiche e outcome, l’esito.

Le reazioni negative allo stress, cioè strain, possono essere di vario tipo:

  1. Psicologiche: fra queste troviamo l’ansia, che emerge come la conseguenza legata al non avere il controllo della situazione; essa può portare al disturbo acuto da stress o al disturbo post-traumatico da stress. L’ansia può essere manifestata con vertigini, agitazione, fatica, disturbi del sonno, pensieri di morte.
    Un’altra reazione psicologica è la depressione che si manifesta con sensazioni di pessimismo, senso di colpa, mancanza di speranza o disperazione estrema e pensieri suicidari. Oltre ad ansia e depressione, in questa sfera di reazioni rientrano anche l’insoddisfazione lavorativa, la noia, la fuga di pensieri, la perdita di prospettiva e l’essere focalizzati solo su pensieri negativi.
  2. Fisiche: mal di testa, disturbi gastro-intestinali, aumento o perdita di peso, allergie, diabete.
  3. Comportamentali: ci può essere un aumento nell’utilizzo di alcolici, tabacco o droghe, eccessivo uso di farmaci, disturbi della sfera sessuale, disturbi alimentari, assenteismo, presenteismo, turnover, comportamenti aggressivi nei confronti dei colleghi o isolamento sociale.

Tutte queste reazioni allo stress sono profondamente influenzate dalle caratteristiche individuali.

È molto importante ricordare che ognuno di noi reagisce in modo diverso di fronte a una stessa situazione; infatti non è sempre l’evento ad essere stressante ma la percezione e la valutazione che una persona fa della situazione e la sua capacità di gestire lo stress. Ogni individuo ha un suo limite, oltre il quale gli obblighi diventano stressanti.

Questo limite varia in base alle differenze individuali e in base alla situazione.

Le caratteristiche individuali più rilevanti per il processo di stress sono:

  1. Le caratteristiche demografiche, etniche e culturali.

In queste caratteristiche rientrano le differenze di genere, che possono portare a stress causando ansia e depressione soprattutto nelle donne, questo perché ci sono differenze a livello ormonale tra uomini e donne e perché nelle donne l’esperienza emotiva è più accentuata. Ci sono poi le differenze legate all’età e quelle culturali; spesso i lavoratori immigrati vengono esposti a situazioni lavorative molto sfavorevoli.

  1. Le caratteristiche disposizionali.

Queste caratteristiche sono ritenute tratti stabili della personalità; fra queste troviamo il comportamento di tipo A, tipico di coloro che si dedicano solo al lavoro, sono ambiziosi e competitivi; in contrapposizione c’è il comportamento di tipo B, tipico di chi lavora in modo molto più rilassato.

L’overcommitment, cioè l’ipercoinvolgimento nel lavoro e il workholism, cioè la dipendenza dal lavoro, si sovrappongono al comportamento di tipo A.

Oltre alle caratteristiche individuali, lo stress è influenzato anche dal cambiamento di fattori situazionali: “dover lavorare per rispettare una scadenza ben determinata può rendere stressanti interazioni sociali prima piacevoli: la nascita di un figlio può comportare tensioni finanziarie che possono a loro volta causare conflitti di ruolo in precedenza assenti.” (Fletcher, 1991, pp.54-55).

Dunque è “la nostra percezione personale della minaccia a essere causa di stress, così come l’interpretazione di un evento piuttosto che l’evento stesso ( Lazarus e Folkman, 1984). Questa considerazione non costituisce una novità, poiché quasi duemila anni fa, Marco Aurelio (121 d.C.- 180 d.C.) affermò: “Se siete afflitti da qualcosa di esterno, il dolore non è dovuto alla cosa in sé, ma alla valutazione che voi ne fate; valutazione che avete il potere di revocare in qualsiasi momento”.

3. Rischi psicosociali

È consuetudine differenziare i rischi di tipo tradizionale, come il rischio fisico, chimico e biologico, dai nuovi rischi, quelli di tipo psicosociale.

Anche se, i rischi tradizionali sono stati studiati come causa delle malattie occupazionali, essi possono avere un effetto indiretto sulla salute, che si esercita attraverso lo stress lavoro-correlato.
Un esempio può essere costituito da un lavoro in cui per un tempo prolungato si è esposti a un rumore di forte intensità; in questo caso si può sviluppare l’ipoacusia[1] che, allo stesso tempo, può provocare stress nel lavoratore.

L’attenzione per i rischi psicosociali è cresciuta dopo i cambiamenti avvenuti negli ultimi anni nel mondo del lavoro.

L’Organizzazione Internazionale del Lavoro nel 1986 ha definito i rischi psicosociali “come interazione tra contenuto, gestione ed organizzazione del lavoro, condizioni ambientali e organizzative da un lato, competenze ed esigenze dei lavoratori dipendenti dall’altro, che potenzialmente possono arrecare danni fisici o psicologici.”

I rischi psicosociali sono trasversali, possono verificarsi in tutti i settori occupazionali.

Inoltre, il loro effetto sulla salute psicofisica può essere sia diretto che indiretto, cioè mediato dal fenomeno dello stress.

3.1. Rischi legati al contenuto del lavoro

Il carico di lavoro contenuto nelle domande lavorative è un aspetto da tenere sotto controllo quando si parla di stress in ambito lavorativo.

Queste domande lavorative hanno caratteristiche quantitative, che riguardano la numerosità delle cose da fare nel tempo a disposizione, e caratteristiche qualitative che si riferiscono alla complessità del lavoro rispetto alle abilità possedute.

Lo stress può emergere sia in casi di sovraccarico del lavoro che in casi di sotto-carico del lavoro.

Le domande lavorative non devono però essere considerate solo in termini di quantità e qualità, ma è necessario studiare la loro natura.

Le domande possono essere ti tipo cognitivo e di tipo emotivo, che riguardano cioè la gestione delle relazioni e, di conseguenza, la capacità di controllare le proprie emozioni. Queste domande emotive sono molto importanti poiché possono portare alla dissonanza cognitiva nel momento in cui si è costretti a nascondere emozioni non desiderate o a mostrarne altre non esperite.

Oltre alle domande lavorative, i rischi legati al contenuto del lavoro riguardano anche l’orario lavorativo, soprattutto il lavoro a turni, particolarmente quello comprendente le turnazioni notturne. Infatti, esse hanno degli effetti sulla salute perché alterano i ritmi circadiani causando problemi al ritmo respiratorio, alle funzioni corporee o alla produzione di ormoni. Causano inoltre molti disturbi del sonno e nelle donne compromettono la funzione riproduttiva.

Da ultimo, possono influenzare il benessere dei lavoratori anche l’imprevedibilità o la rigidità dell’orario lavorativo.

3.2. Rischi legati al contesto organizzativo

I rischi associati al contesto organizzativo riguardano il conflitto e l’ambiguità di ruolo.

Il conflitto di ruolo emerge quando un’aspettativa di comportamento comunicata al lavoratore rende difficile soddisfarne altre che definiscono il ruolo, oppure quando i valori e le credenze del lavoratore sono in contrasto con le aspettative trasmesse.

Nel conflitto di ruolo rientra anche il conflitto lavoro-famiglia che dipende dalle pressioni tra le aspettative del ruolo che si ha nella famiglia e quello nell’organizzazione.

L’ambiguità di ruolo si manifesta quando le informazioni date al lavoratore sui comportamenti attesi sono inadeguate o quando ci sono incertezze sulle possibili conseguenze di alcuni comportamenti attesi.

Altri rischi molto importanti, legati all’ambito organizzativo, riguardano la responsabilità nei confronti delle persone nel momento in cui si devono fare scelte che influiscono sul destino degli altri; la posizione gerarchica ricoperta nell’organizzazione, a tal punto che solitamente i dirigenti hanno condizioni di salute migliori rispetto a chi occupa una posizione più bassa; e le opportunità di promozione, apprendimento e sviluppo personale, che se mancano generano insoddisfazione lavorativa e forti emozioni negative.

Parlando di rischi legati al contesto lavorativo è necessario parlare di giustizia organizzativa, intesa come la percezione del lavoratore di essere trattato nel modo corretto sul posto di lavoro (Greenberg, 1990).

Si possono trovare tre forme di giustizia organizzativa (Cohen-Charash e Spector, 2001):

  • Giustizia distributiva: riguarda i benefici, la retribuzione, lo sviluppo di carriera, le responsabilità;
  • Giustizia procedurale: riguarda la possibilità di partecipare al processo decisionale e di avere tutte le informazioni su una decisione;
  • Giustizia interazionale: riguarda il trattamento interpersonale ricevuto dal lavoratore.

Se si percepisce iniquità, si creano stati negativi di stress o reazioni negative che possono portare a comportamenti devianti o aggressivi, causando danni all’organizzazione o alle persone che lavorano al suo interno (Fox e Spector, 2005; Fox, Spector e Miles, 2001).

3.3 Il mobbing

Uno dei fattori di rischio molto importanti che possono causare stress riguarda le relazioni interpersonali: la loro qualità sul luogo di lavoro è infatti uno dei fattori con il potenziale più forte nel causare danni alla salute dei lavoratori (Spector2008).

Le relazioni interpersonali vengono spesso concettualizzate in termini di supporto sociale che si riceve dai colleghi e dai superiori, questo concetto indica la considerazione positiva e l’aiuto nel completamento dei compiti lavorativi che da loro si ottiene (Spielberg, Vagg e Wasala 2003).

La mancanza del supporto sociale favorisce l’insorgere dello stress.

Quando invece il supporto sociale è presente l’effetto di un determinato fattore di rischio sarà più moderato rispetto a quando è assente.

Legato alle relazioni interpersonali e molto rischioso per lo stress è inoltre il mobbing.

Il termine mobbing fu utilizzato per la prima volta da Leymann (1990;1996); esso deriva dal verbo “to mob” che significa “assalire in massa”, e proviene dall’etologia perché è riferito all’insieme dei comportamenti aggressivi utilizzati da alcune specie di uccelli per difendersi da un predatore o quando si vuole espellere un componente dal gruppo.

Nel mobbing sono presenti due ruoli in conflitto, il mobber e il mobbizzato, che possono essere costituiti da una o più persone.

Ci sono tre forme di mobbing:

  • Mobbing dall’alto: il mobber ricopre un ruolo superiore rispetto alla vittima;
  • Mobbing dal basso: il mobber è in una posizione gerarchica inferiore;
  • Mobbing tra pari: mobber e vittima sono sullo stesso livello gerarchico.

Leymann (1996) definisce il mobbing “come una comunicazione ostile e contraria ai principi etici, condotta in modo sistematico da una o più persone contro un singolo individuo o contro un gruppo che viene spinto in una posizione di impotenza e di impossibilità di difesa, in cui è costretto a restare per continue attività ostili (attacchi ai contatti umani, isolamento sistematico, cambiamento delle mansioni, attacchi contro la reputazione, violenza o minacce). A causa dell’alta frequenza e della lunga durata, il comportamento ostile dà luogo a seri disagi psicologici, psicosomatici e sociali.”

Queste azioni portano a depressione, ripercussioni sugli equilibri familiari, sul mantenimento del lavoro o, nei casi più estremi, a comportamenti suicidari (Balducci, Alfano e Fraccaroli, 2009).

3.4 Teorie e modelli dei rischi psicosociali

  • Modello “Effort- Reward Imbalance” (ERI) [Siegrist, 1996]

Questo modello enfatizza il ruolo degli aspetti contrattuali del rapporto di lavoro, e fonda le sue radici nel principio della reciprocità, principio che regola gli scambi sociali.

Secondo questo principio gli individui investono le proprie risorse con l’aspettativa di un ritorno.

L’individuo si impegna per fornire una prestazione lavorativa attraverso il dispendio di energie psicofisiche in cambio della possibilità di soddisfare dei bisogni fondamentali come la stima di sé.

Questa soddisfazione può avvenire con tre tipi di ricompense: il denaro, la stima personale o le opportunità di avanzamento.

Quando ci si aspetta una ricompensa che non arriva si prova una forte reazione di stress. Secondo questo modello, la condizione del rischio psicosociale che è alla base dello stress lavoro-correlato è proprio lo squilibrio tra sforzo e ricompensa.

  • JDR- Job Demands-Resources Model [Bakker, Demerouti, 2007]

Questo modello non si focalizza solo sugli esiti negativi dello stress, ma considera anche quelli positivi del lavoro.

Ogni occupazione si caratterizza per dei fattori di rischio specifici; tali fattori si possono suddividere in due macrocategorie:

  • Le domande lavorative: sono costituite da quegli aspetti fisici, psicologici, sociali e organizzativi che richiedono impegno e sforzo determinando un dispendio di energie psicofisiche. Le domande non sono necessariamente negative, ma lo diventano quando sono eccessive e quando il lavoratore non ha adeguate opportunità di recupero.
  • Le risorse lavorative: sono quegli aspetti fisici, psicologici, sociali e organizzativi che riducono le richieste lavorative e i costi ad esse associati permettendo di raggiungere gli obiettivi lavorativi e stimolando la crescita personale e professionale. Le risorse hanno la capacità di generare un processo motivazionale.

L’ipotesi di questo modello è che la combinazione tra determinate domande e specifiche risorse determini il benessere lavorativo, quindi le risorse rivestono un ruolo importante nell’attenuare gli effetti delle domande nel processo di deterioramento della salute; se quindi ci sono le risorse, le domande saranno percepite come meno elevate.

Anche per mantenere la motivazione le risorse sono fondamentali.

Il modello pone il focus sul contesto e sul tipo di lavoro perché ogni lavoro ha una propria configurazione di domande e risorse.

3.5 Burnout

Un’ importante e tipica reazione da stress, che necessita di molta attenzione, è il burnout; si tratta di una sindrome psicologica che il lavoratore sperimenta dopo un’esposizione prolungata a situazioni lavorative stressanti (Maslach, 1982).

Questa sindrome è costituita da tre tipi di sintomi per lo più di tipo emotivo e cognitivo (Maslach, Schaufeli e Leiter, 2001):

  1. Esaurimento: sensazione di fatica psicofisica.
  2. Cinismo o disaffezione lavorativa: distacco nei confronti dell’attività lavorativa.
  3. Ridotta efficacia professionale: sensazione di non essere in grado di dare un giusto contributo al proprio lavoro.

Il processo inizia con una fase di logoramento in cui è presente la sensazione dell’esaurimento emotivo, che deriva dal divario tra richieste lavorative e risorse personali e che non può essere alleviata in modo immediato, e questo determina stress (Cherniss, 1980; Maslach, 1982); il distacco è una fuga psicologica per cercare di eliminare la frustrazione estraniandosi dagli altri, la conseguenza di ciò è la riduzione dell’efficacia e la diminuzione dell’autostima.

Il burnout è una problematica che non riguarda solo le professioni di aiuto, ma è l’esito di un processo di degradamento della salute potenzialmente riscontrabile in ogni tipo di lavoro.  (Demerouti et al., 2001).

Inoltre, esso può portare ad altre conseguenze psicofisiche negative, come i disturbi depressivi, psicosomatici e l’abuso di sostanze (Borgogni e Consiglio 2004).

Il burnout, come detto in precedenza, si manifesta nel momento in cui le richieste del lavoro sono negative e sono in contrasto con le nostre risorse. Ma le domande del lavoro non sono sempre negative, lo sono quando il lavoratore vi è esposto eccessivamente senza la possibilità di recupero facendogli, così, provare fatica, esaurimento, stress e malessere.

Un costrutto legato all’esaurimento emotivo e alla fatica è la percezione della necessità di recupero.

Elevati livelli di esaurimento legati alla necessità di recupero corrispondono a bassi livelli di prestazione (Demerouti e Bakker, 2006; Taris, 2006).

Questa necessità di recupero deriva da un senso di urgenza del dover fare una pausa: si tratta cioè del rifiuto di continuare ad affrontare le richieste attuali o di affrontarne di nuove (Schaufeli e Taris, 2005).

Secondo Sonnentag e Zijlstra (2006), la fatica è lo stato che deriva dall’attivazione per fronteggiare le richieste di lavoro, mentre il recupero è il processo di reintegro delle risorse esaurite o di riequilibrio dei sistemi psicofisiologici non ottimali.

Quando si percepisce la necessità di recupero del lavoro, è necessario porvi molta attenzione poiché si tratta di un indicatore di stress da lavoro. Essa può essere l’inizio di un processo di deformazione che conduce alla fatica prolungata, a problemi psicologici, psicosomatici e fisici.

Nel paragrafo precedente (3.4) abbiamo parlato del modello “domande-risposte”; uno degli esiti più frequenti dei processi di degradamento della salute e motivazionale postulati da tale modello è proprio il burnout. Infatti, le domande mostrano una relazione positiva con il burnout, soprattutto con una delle sue componenti principali, ossia l’esaurimento emotivo.

Le conseguenze negative del burnout possono manifestarsi a diversi livelli:

  • Livello individuale: si prova sofferenza fisica ed emotiva con riflessi negativi sull’ambiente familiare e sulle relazioni interpersonali intime.
  • Livello dell’ambiente lavorativo: si manifestano contrasti interpersonali, ridotto rendimento, assenteismo, fuga dalle proprie responsabilità, danno all’immagine dell’istituzione.
  • Livello dell’utenza: diminuzione della qualità e quantità dei servizi fruiti, si vive un senso di spersonalizzazione, perdita di fiducia nelle istituzioni che erogano servizi alla persona.
  • Livello della società: danni economici connessi ai punti precedenti, maggiore prevalenza dei disturbi mentali e da uso di sostanze, aumento dei contenziosi legali, sfiducia verso i programmi di intervento sociale, per la salute e la sicurezza attuabili dallo Stato.

4. Le strategie di coping

Parlando di strategie di coping, ci si riferisce a quei metodi che una persona mette in atto nel momento in cui deve affrontare un problema.

Ci possono essere diversi tipi di coping, che solitamente si distinguono in:

  • Coping centrato sul problema;
  • Coping centrato sull’emozione;
  • Ricerca di supporto;
  • Coping centrato sul significato;

Il coping riguarda anche le capacità che una persona possiede di far fronte a situazioni di stress. Esso rappresenta una risorsa che le persone possono utilizzare per affrontare la vita.

Un importante lavoro sulle strategie di coping appartiene a Lazarus (1966,2006); esso introduce il concetto di coping e valutazione cognitiva.

Secondo Lazarus in corrispondenza di uno stimolo ambientale si verificano dei processi mentali che associano allo stimolo un significato personale; questo significato spiega l’entità della reazione psicofisiologica che si osserva.

Ci sono due tipi di valutazione che una persona fa prima di arrivare al processo di coping, una delle quali valuta se uno stimolo ambientale è minaccioso o meno (valutazione primaria) e se lo stimolo non è ritenuto minaccioso il processo si ferma. Nel caso contrario il processo valutativo prosegue e riguarda la stima delle proprie capacità nel far fronte alla minaccia (valutazione secondaria).
Se questa valutazione ha un esito negativo, si attiva il processo di coping, definito come “sforzi cognitivi e comportamentali per gestire specifiche domande interne o esterne che mettono alla prova o che eccedono le risorse della persona” (Lazarus e Folkman 1984).

Una tipologia generale di coping   proposta da Lazarus è quella che distingue tra:

  1. Coping focalizzato sulle emozioni
  2. Coping focalizzato sul problema.

La prima forma di coping riguarda i tentativi fatti attraverso delle attività di tipo cognitivo che mirano a regolare le reazioni affettive come l’ansia e la tensione della risposta da stress.

Ad esempio, si può rivalutare la minaccia interpretandola in modo diverso oppure si può evitare di pensarci. Questa forma di coping non interviene sulla realtà della minaccia esterna.

La seconda forma di coping riguarda i tentativi fatti per ottenere informazioni sui metodi più corretti per gestire le minacce e le azioni per cercare di ridimensionarle. Con questa forma di coping viene compiuto un intervento attivo sulla realtà percepita come minaccia.

È questa la forma che si dovrebbe utilizzare per far fronte al problema e superarlo.

Ogni persona, in base alle sue differenze individuali, valuterà lo stimolo in modo diverso rispetto ad un’altra persona.

Se ci percepiamo come in grado di fronteggiare le difficoltà, reagiamo con minore stress.

Oltre alle due forme di coping principali, ne possiamo trovare altre:

  • Il coping proattivo, con cui si anticipano i problemi per cercare di gestirli meglio quando si presentano.
  • Il coping sociale che prevede il supporto di amici e familiari.
  • Il coping centrato sul significato, con cui si cerca di trarre degli insegnamenti dai problemi e si cerca di dare un senso all’accaduto.
  • L’evitamento come strategia di coping è quello da usare meno, e rientra nel coping centrato sulle emozioni.

Il coping può essere costruttivo quando viene utilizzata l’assertività, mentre è disattivo quando si scappa davanti al problema, si beve alcool o si utilizzano la violenza e l’aggressività.

Cap. 2: L’influenza dello stress nelle forze dell’ordine e armate

1. Le forze dell’ordine e le forze armate

Ogni Forza dell’Ordine, chiamate anche Forze di polizia, ha una propria organizzazione e struttura. La funzione di assicurare la tutela dell’ordine pubblico, la sicurezza pubblica e il coordinamento delle forze di polizia sono esercitate dal Ministero dell’Interno, che ha la massima autorità di pubblica sicurezza statale.

I corpi di polizia sono suddivisi in:

  • Corpi di polizia a ordinamento civile

A questi corpi appartengono la Polizia di Stato e la Polizia Penitenziaria.

La Polizia di Stato dipende dal Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno. La sua funzione predominante è la gestione dell’ordine e della sicurezza pubblica.

La Polizia penitenziaria dipende dal Ministero della Giustizia, ha competenze specifiche nei servizi per la gestione di persone soggette a restrizioni della libertà personale e delle strutture carcerarie. Inoltre, ha funzioni di prevenzione, di polizia stradale e di ordine pubblico.

  • Corpi di polizia a ordinamento militare

In questi corpi rientrano l’Arma dei Carabinieri e la Guardia di finanza.

L’Arma dei Carabinieri dipende dal Ministero della Difesa, svolge la funzione di polizia giudiziaria e di sicurezza pubblica, controlla il mantenimento dell’ordine pubblico e della sicurezza, svolge anche il ruolo di polizia ambientale e amministrativa. L’Arma dei Carabinieri fa parte delle Forze Armate, è una forza militare di polizia.

La Guardia di Finanza dipende dal Ministro dell’economia e delle finanze. Essa ha competenze specifiche nella prevenzione e repressione dei reati valutari, finanziari e tributari. Svolge anche funzioni di polizia giudiziaria, pubblica sicurezza, polizia doganale,

militare e tributaria.

  • Corpi di polizia locale

Si tratta di un corpo di polizia fornito dagli enti locali territoriali statali con competenza sul territorio dell’ente dal quale dipende. In questi corpi rientrano la Polizia forestale, Polizia provinciale, Polizia municipale e le Compagnie barracellari.

La Polizia forestale è specializzata nella difesa del patrimonio agro-forestale italiano e deve tutelare l’ambiente, il paesaggio e la sicurezza della filiera agroalimentare. Ha anche funzione di polizia giudiziaria.

La Polizia provinciale ha competenza sul territorio provinciale o nella Città metropolitana di riferimento. Ha funzioni di polizia giudiziaria, amministrativa, stradale, ambientale, zoofila, idraulica, fluviale, mineraria, navale. Ha anche compiti di protezione civile e funzioni ausiliarie di pubblica sicurezza.

La Polizia municipale ha competenza sul territorio del comune italiano a cui appartiene o sul territorio di un’unione di comuni. Ha funzioni di polizia amministrativa, giudiziaria, stradale. Ha compiti di protezione civile e funzioni ausiliarie di pubblica sicurezza.

Le Compagnie barracellari sono una forma di polizia locale e rurale tipica della Regione Autonoma della Sardegna.

I corpi di polizia hanno istituito dei reparti specifici con compiti specializzati per la lotta contro il terrorismo, la criminalità organizzata e per la sicurezza del Paese.

Tra i reparti d’elite troviamo:

  • I reparti speciali che comprendono il Gruppo di Intervento Speciale dei carabinieri (GIS); il 1° Reggimento dei carabinieri paracadutisti; il Nucleo Operativo Centrale di Sicurezza della Polizia di Stato (NOCS); l’Antiterrorismo Pronto Impiego della Guardia di Finanza (AT/PI) e il Gruppo Operativo Mobile della polizia penitenziaria (GOM).
  • I reparti investigativi comprendono il Raggruppamento Operativo Speciale dei carabinieri (ROS); il servizio centrale operativo della Polizia di Stato; il Servizio Centrale di Investigazione sulla Criminalità Organizzata della Guardia di Finanza (SCICO) e il Nucleo Investigativo Centrale della Polizia Penitenziaria (NIC).
  • I reparti specializzati comprendono il comando di unità forestali, ambientali e agroalimentari dei Carabinieri; l’Aliquote di Primo Intervento dei Carabinieri (API); le Squadre Operative di Supporto dei Carabinieri (SOS) e le Unità Operative di Pronto Intervento della Polizia di Stato (UOPI).

Parlando di Forze dell’Ordine è necessario parlare anche di Forze Armate, che sono l’insieme delle componenti militari della Repubblica Italiana.

Delle Forze Armate italiane, oltre all’Arma de Carabinieri e alla Guardia di Finanza, fanno parte anche l’Esercito Italiano, la Marina Militare e l’Aeronautica Militare.

L’Esercito Italiano è la componente terrestre delle forze armate; la Marina Militare è la componente navale, a cui sono affidati il controllo e la condotta delle operazioni navali nelle acque territoriali ed internazionali; l’Aeronautica Militare è la componente aerea, che si occupa delle operazioni aeree.

2.  Motivazione interna o esterna?

Le Forze dell’Ordine e le Forze Armate sono una professione d’aiuto; pertanto la motivazione che anima coloro che svolgono questo tipo di professioni è, per la maggior parte delle volte, interna.

Chi svolge una professione d’aiuto è supportato nella sua scelta da una forte motivazione professionale, che ha alla base il bisogno psicologico interno e i ragionamenti fatti sui benefici e i costi collegati a tale scelta lavorativa. La motivazione professionale supporta ogni giorno l’individuo nella sua professione.

Chi sceglie di lavorare nelle Forze dell’Ordine e nelle Forze Armate è spinto dalle seguenti motivazioni:

  • Il bisogno di aiutare.
  • Creare un’immagina positiva di sé, sentendosi utili al prossimo.
  • Sentirsi responsabili per ciò che è accaduto.

In questo lavoro un altro motivo per cui prevale la motivazione interna è la consapevolezza della scarsa motivazione estrinseca che si può ricevere.

Infatti, la retribuzione data è molto scarsa rispetto alle mansioni e alla pericolosità a cui gli individui che svolgono queste professioni si sottopongono ogni giorno.

La motivazione deve pertanto essere continuamente alimentata per fare in modo che ogni lavoratore sia soddisfatto delle sue mansioni e non ricada in uno stato di stress.

Una teoria sulla motivazione che riguarda la soddisfazione e insoddisfazione lavorativa emerge dalle ricerche di Herzberg (1966;1968).  Lo studioso ha elaborato la “Teoria dei due fattori”; attraverso la quale vengono proposti due tipi diversi di bisogni che agiscono sull’individuo in modo differente: uno di questi è relativo ai fattori di igiene e l’altro ai fattori motivazionali.

I fattori di igiene riguardano la retribuzione, le condizioni e la sicurezza sul lavoro; se questi non vengono appagati si causa insoddisfazione. Nel momento in cui vengono invece garantiti, portano all’assenza di insoddisfazione ma non alla completa soddisfazione. Quindi questi fattori non sono sufficienti per portare alla soddisfazione completa e alla motivazione del lavoratore.

I fattori motivazionali riguardano il riconoscimento, le opportunità di carriera e le possibilità di crescita nel ruolo. Secondo Herzberg sono questi i fattori che, quando vengono soddisfatti, agiscono a sostegno della motivazione dei dipendenti.

La loro mancanza non produce insoddisfazione se i fattori igienici vengono appagati.

Rispetto ai fattori sopracitati quelli che spingono i lavoratori delle Forze Armate e delle Forze dell’Ordine ad essere soddisfatti del loro lavoro sono primariamente i fattori motivazionali.

Infatti, sebbene manchi l’adeguata retribuzione e spesso i soggetti sono esposti a situazioni pericolose, essi possono contare sulla possibilità di crescita a livello personale e sulle varie opportunità di fare carriera presenti all’interno dei loro organi amministrativi.

Spesso questo non basta, perché non bisogna dimenticare che ogni motivazione è caratterizzata da un bagaglio emozionale che nel tempo può diventare causa di stress e burnout.

3. Alti livelli di stress

Gli operatori delle Forze dell’Ordine e delle Forze Armate rientrano nelle categorie professionali con maggior rischio di essere esposte ad eventi stressanti. Sono ritenute una professione d’aiuto vista la frequente interazione interpersonale con i cittadini. Come le altre professioni d’aiuto, anche gli operatori che svolgono servizio nelle Forze dell’Ordine e nelle Forze Armate partecipano alla sofferenza umana, alle situazioni problematiche sia economiche che umane spesso associate a episodi di violenza.

Molte ricerche hanno sottolineato che l’esposizione ad eventi traumatici, alla violenza e sofferenza sia un fattore di stress. A questi fattori è associato anche il rischio della propria incolumità e quella dei colleghi.

I disturbi derivanti dall’esposizione ad un evento traumatico sono classificati nel DSM-V come disturbo d’ansia, e soddisfano il criterio A del disturbo di stress post-traumatico.

Secondo gli studiosi Mayhew, (2001) e Patterson, (2001), gli eventi critici che possono generare il disturbo di stress post-traumatico sono:

  • L’aggressione subita: le aggressioni possono avvenire durante gli arresti o facendo l’agente di scorta; solitamente le ferite riguardano la testa, le braccia, il tronco o il viso.
  • Uccisione e ferimento di terzi: l’uccisione di civili da parte degli agenti dipende dalla violenza che percepiscono nella società. Può avvenire anche il “suicidio attraverso un poliziotto”, ovvero un incidente che avviene quando un individuo con intenzioni suicide manipola la situazione in modo da essere ucciso dai poliziotti.
  • Situazioni a rischio di morte: sono molto frequenti quando si deve compiere un lavoro in incognito, quando è necessario fare irruzioni in operazioni antidroga o irruzioni per fermare liti domestiche, oppure quando si inseguono automobili a forte velocità; queste situazioni sono anche tipiche di chi partecipa a missioni di guerra.
  • Il suicidio di un collega: nel momento in cui si viene a conoscenza del suicidio del proprio collega, le emozioni provate sono shock, angoscia, sentimenti di impotenza, depressione, abbandono, solitudine, sensi di colpa per non essere riusciti a prevenire la morte. Può verificarsi l’effetto contagio che porta a pensieri di suicidio, si può ricadere nell’abuso di alcool o droghe e provare rabbia nei confronti della propria professione;
  • Malattie trasmissibili: spesso dalle aggressioni possono derivare delle infezioni come l’epatite B o l’infezione da HIV.
  • Sequestri, presa di ostaggi e barricamenti: queste situazioni sono molto stressanti e ad alto rischio di decesso; se non si riesce a portare a termine un’operazione ci si può sentire incompetenti, inadeguati e si può provare senso di colpa.
  • Interventi in stupri, violenze e abusi: questi eventi richiedono un intervento più clinico e portano a forte stress soprattutto nelle agenti donne.
  • Guerre, attacchi terroristici, disastri naturali o innescati: nel momento in cui si partecipa per lungo tempo a questi eventi, si può arrivare a provare un’angoscia traumatica che può diventare disturbo post traumatico da stress.

3.1. Stressor e burnout

Argentero e Setti (2008) in un articolo dichiarano che gli appartenenti alle Forze dell’Ordine e alle Forze Armate fanno parte della categoria degli “highstress occupations” o professioni ad alto stress (Brough, 2004) perché sono testimoni diretti di situazioni inaspettate e altamente stressanti che incidono sul loro benessere psicofisico (Hodgkinson e Stewart, 1991; Raphael, 1986).

Inoltre ritengono che l’esperienza di situazioni estremamente stressanti, unite agli stressor cronici e organizzativi, sia una condizione necessaria per lo sviluppo del burnout.

Quando si sviluppa il burnout si entra in una condizione di totale esaurimento. Esso infatti colpisce le risorse emotive e psicologiche del lavoratore, e per questo motivo il suo impatto va oltre la sfera lavorativa. Chi ne è colpito sente di non aver più le risorse cognitive, emotive e sociali per far fronte alla sua professione.

Tra gli stressor più gravi che portano al burnout nelle Forze dell’Ordine e nelle Forze Armate si evidenziano alcuni aspetti organizzativi e altri, che non riguardano l’organizzazione ma sono altamente stressanti:

  • I turni: prestano un servizio che ricopre l’intero arco della giornata. La letteratura mostra come il lavoro a turni sia stressante in quanto disturba il normale ritmo circadiano e la qualità del sonno (McNeill,1996). Più che i turni in sé, ciò che si rivela più stressante è il modo in cui questi vengono gestiti, perché spesso impediscono di poter avere una vita sociale soddisfacente.
  • Il sostegno sociale inadeguato: il supporto sociale diminuisce la probabilità di sviluppare malessere; purtroppo nelle Forze dell’Ordine e nelle Forze Armate manca il supporto da parte dei superiori e questo può portare ad alti valori di stress.
  • Clima di genere: nella loro cultura informale vengono valorizzate competenza, competizione, autoritarismo e abilità direttive. Gli individui che svolgono servizio nelle Forze dell’Ordine e Forze Armate sono descrittI come duri, distaccati, difensori della logica e della giustizia e autonomi. Per questo motivo le donne si comportano in modo differente rispetto al ruolo tipicamente femminile, e per guadagnare stima accettano una sorta di pseudomascolinità.
  • Conflitto o ambiguità di ruolo: avviene nel momento in cui non c’è compatibilità tra il comportamento richiesto dal ruolo e i propri valori personali. Questo divario causa gravi conseguenze per la salute psicologica degli operatori.
  • Conflitti con i superiori: la presenza della gerarchia nella loro organizzazione fa innescare molte tensioni che contribuiscono all’insorgenza dell’esaurimento emotivo.
  • Conflitti con i colleghi: derivano dalla rivalità e dalla competizione che si innescano per la mancanza di una leadership autorevole, mentre il supporto dei colleghi è un fattore protettivo nei confronti delle situazioni stressanti o nei momenti di crisi;
  • Incidenti critici: i traumi psicologici che non vengono superati in modo adeguato contribuiscono alla manifestazione del burnout;
  • Difficoltà nelle relazioni familiari: il rapporto tra relazioni familiari e burnout è bidirezionale, se da una parte alti livelli di burnout portano maggiori tensioni familiari, dall’altra la presenza di difficoltà in ambito familiare genera maggiore stress e rischio di burnout.
  • Difficoltà ad esprimere i propri sentimenti ed emozioni: questo da molti è ritenuto uno dei principali fattori che portano al burnout. Ciò è dovuto sia a fattori culturali che individuano in colui che compie questo lavoro una persona distaccata ed imperturbabile, sia alle caratteristiche del contesto organizzativo, il quale vuole che gli operatori trasmettano un aspetto esteriore di professionalità anche nel momento in cui le emozioni e i sentimenti restano inespressi.
  • Limiti della formazione professionale: a causa della necessità di personale, la formazione risente di limiti culturali riguardanti il saper fare, importantissimo per queste professioni.

Il burnout, così come il disturbo da stress post traumatico, non è sono da sottovalutare. Quando vengono accantonati peggiorano lo stato psicologico e fisico del lavoratore, il quale può arrivare a compiere l’atto del suicidio.

Per produrre il benessere nelle Forze dell’Ordine e nelle Forze Armate, e per ridurre il rischio di burnout e di stress post traumatico è utile utilizzare delle corrette strategie di coping o strategie preventive.

4. Strategie preventive

Per prevenire lo sviluppo del burnout e promuovere il benessere, è necessario utilizzare la prevenzione. La prevenzione può essere primaria, secondaria e terziaria.

La prevenzione primaria interviene sull’organizzazione formale e informale dell’ambiente lavorativo.

Le tecniche della prevenzione primaria che possono limitare il manifestarsi del burnout nelle Forze dell’Ordine e Forze Armate sono:

  • management partecipativo: attraverso esso si accresce il controllo dei lavoratori tenendo conto delle loro idee nel momento in cui si prende una decisione;
  • flessibilità dell’orario di lavoro: questa strategia permette al lavoratore di riuscire ad organizzare impegni lavorativi ed extra-lavorativi;
  • sviluppo di carriera: questa strategia ha implicazioni sul piano motivazionale e affettivo; è evidente che poter avanzare nella propria carriera porta al benessere psicologico, quindi utilizzare adeguate politiche di carriera potrà prevenire le varie forme di stress;
  • supporto sociale: avere il sostegno da parte dei colleghi e dei superiori è una potente strategia per prevenire gli effetti negativi associati al burnout. È utile tenere regolarmente delle riunioni di gruppo per migliorare le relazioni tra i lavoratori.

La prevenzione secondaria mira a cambiare il modo in cui gli individui reagiscono alle situazioni stressanti per moderare la reazione e ridurre la possibilità di ricadere nello stress.

Le strategie che possono essere utilizzate sono evitare lo stressor oppure influenzare lo stressor.

Evitare ciò che causa stress può essere utile nel momento in cui i costi a esso associati non sono troppo elevati; inoltre può essere utile per situazioni “episodiche”: ad esempio un poliziotto potrebbe rifiutare la richiesta di lavorare in un giorno di riposo per evitare problemi con la famiglia.

Invece, influenzare la fonte di stress è possibile se si ha del controllo su essa e si ha la consapevolezza di riuscire ad evitare di ricadere nello stress; nel caso contrario si possono utilizzare strategie per modificare la risposta allo stress.

Queste strategie sono molto importanti nelle mansioni di poliziotto, carabiniere e militare perché aiutano a trovare un modo per sfogare le emozioni represse e limitare lo stress provato.

Tra queste strategie una molto potente è esternare le emozioni negative; in tal senso è importante ricordare che l’esternalizzazione degli stati d’animo negativi dovrebbe avvenire subito dopo la loro emersione.

Questa strategia può essere messa in pratica in molti modi; ci si può aprire agli altri, si può partecipare a gruppi di discussione come i self-help (gruppi di auto-aiuto), si può scrivere un diario oppure si può praticare l’acting out delle emozioni che può avvenire piangendo, ridendo, gridando o cantando.

Altre strategie che possono essere messe in pratica per gestire lo stress sono l’esercizio fisico o tecniche di rilassamento che riducono l’attività del sistema nervoso simpatico.

Oltre alle strategie elencate fino ad ora, quelle più importanti che dovrebbero essere prese in considerazione nelle Forze dell’Ordine e nelle Forze Armate, così come in tutte le professioni d’aiuto, sono quelle che fanno parte della prevenzione terziaria.

Essa punta al trattamento terapeutico delle problematiche stress-correlate al fine della cura e della riabilitazione dei lavoratori.

Le forme di intervento più diffuse e più importanti sono il counseling e la terapia psicologica; entrambe richiedono il ricorso a personale specializzato e il consenso scritto del lavoratore che si sottopone alle terapie.

Questi interventi vengono svolti nei centri di ascolto per i dipendenti, creati per gestire il fenomeno del disagio lavorativo. A questi centri si può rivolgere chiunque riscontri un disagio sia nella sfera lavorativa che extra-lavorativa.

L’attività psicologica svolta prevede dei controlli con un’intervista e l’utilizzo di strumenti di screening. Dopo il contatto iniziale vengono effettuati dei colloqui periodici per supportare e monitorare le condizioni di salute.

Una forma specifica di counseling psicologico è il debriefing.

Con questa tecnica gli operatori di polizia, i carabinieri e i militari che sono esposti a eventi traumatici, hanno la possibilità di esternare, di fronte ad un esperto, i pensieri, i ricordi e le emozioni collegate all’evento per scaricare l’emozione negativa bloccando l’evolversi del burnout o del disturbo post traumatico da stress.

Il debriefieng può avvenire anche all’interno di un piccolo gruppo nel caso in cui vari operatori siano stati esposti allo stesso evento traumatico.

Ad esempio, nel momento in cui un gruppo di militari ritorna da una missione è opportuno praticare il debriefieng.

Quando insieme ai disturbi psicologici si riscontrano anche disturbi fisico-fisiologici è invece necessario l’intervento di tipo medico.

L’intervento va preceduto da una valutazione, fatta in primis dal medico competente interno alle caserme e questure.

Il medico competente è infatti il responsabile della sorveglianza sanitaria dei lavoratori, conosce le cartelle sanitarie di ognuno di loro, conosce le particolarità dell’ambiente di lavoro e si relaziona con coloro che dirigono e con le altre figure di prevenzione. Una volta che il medico capisce la situazione, può fornire i suggerimenti utili al lavoratore per il percorso di guarigione che dovrà sostenere.

È evidente che sia Forze dell’Ordine che Forze Armate svolgono una professione in cui gli agenti sono spesso esposti a forte stress, questo a causa dalle situazioni che ogni giorno vivono in prima persona.

La loro è una professione d’aiuto come tante altre e come tale va trattata.

Non dobbiamo sottovalutare il loro lavoro abbandonandoli a sé stessi, poiché spesso sono proprio gli operatori di polizia e i militari che più necessitano d’aiuto.

Hanno bisogno di un supporto psicologico, di parlare e di raccontare ciò che vivono e vedono ogni giorno, in quanto si tratta spesso di episodi strazianti che non possono trattenere dentro di loro a lungo; gli agenti devono poter esprimere le loro emozioni, che altrimenti potrebbero esplodere anche in modi drastici, col rischio di determinare nei soggetti stati di depressione anche gravi.

Spesso questo atteggiamento li porta infatti a compiere gesti sconsiderati come il suicidio.

È quindi necessario sviluppare la consapevolezza di trovare delle modalità adeguate per impedire che tutto questo accada, anche attraverso la possibilità di dare loro gli aiuti psicologici necessari.

Oltre alle strategie elencate, è importante che abbiano il sostegno da parte dei famigliari e che riescano a trovare nei partner una figura con cui poter parlare e aprirsi senza avere il timore di essere giudicati.

Queste persone hanno il bisogno di essere ascoltate e di trovare delle figure adatte a dare loro un supporto emotivo.

In questo modo anche chi è al loro fianco può contribuire a diminuire i fenomeni del burnout e dello stress post traumatico.

Può essere utile ricordare che compiono un lavoro di responsabilità e di pubblica utilità, al servizio del nostro Paese. Essi infatti giurano per svolgere questo lavoro e portano avanti con orgoglio la loro professione.

Pertanto e a maggior ragione, come loro pensano a noi nell’adempimento del loro lavoro, noi dovremmo pensare a loro, fornendo loro tutto il sostegno di cui necessitano.

Cap. 3: Valutazione delle strategie di coping

1. BRIEF COPE #860

Il Brief COPE (CS Carver, 1997), fu messo a punto dopo il COPE (CS Carver, MF Scheier, JK Weintraub, 1989).

Il COPE è nato per valutare un’ampia varietà di risposte di coping facendo riferimento non alla dicotomia problem-focused/ emotion-focused coping, ma ad una serie di distinte modalità per risolvere i problemi o per modulare le emozioni.

Sono state create delle scale testate su campioni numericamente consistenti; le risposte ottenute sono state analizzate attraverso l’analisi fattoriale. La versione finale conteneva 52 item che si articolavano su 13 fattori costituiti, ognuno, da 4 item; successivamente ci fu una nuova versione composta da 60 item, 4 riferiti all’uso di alcol e di sostanze e 4 riferiti al ridicolizzare o scherzare sugli stressor.

Recentemente, è stato creato il Brief COPE che consiste in una versione ridotta del COPE. Il Brief COPE comprende 28 item articolati in 14 scale composta ciascuna da 2 item; esso nasce sulla base dell’esperienza della somministrazione dello strumento completo, poiché molti pazienti avevano difficoltà a rispondere a tutti gli item e nei protocolli di ricerca i tempi risultavano troppo lunghi. Gli item eliminati sono quelli che avevano minor peso nell’analisi fattoriale e quelli che risultavano poco chiari o di difficile comprensione per i soggetti.

La ristrutturazione della scala ha comportato altre modifiche e l’aggiunta di una scala di autoaccusa che le esperienze precedenti avevano indicato come importante.

Le scale COPE e Brief COPE possono essere usate in tre contesti:

  • Per indagare lo stile di coping dei soggetti, cioè come rispondono alle situazioni stressanti;
  • Per valutare come i soggetti hanno reagito allo stress in un periodo di tempo passato;
  • Per valutare la risposta in un periodo di tempo recente e fino al presente.

La scala valuta le caratteristiche del coping dei soggetti normali o affetti da patologie diverse, somatiche e psichiche. Essa può essere riproposta a distanza di tempo dalla prima somministrazione.

Gli item vengono valutati su una scala a 4 punti, da 1 (abitualmente non faccio assolutamente questo) a 4 (abitualmente faccio proprio così). Viene calcolato il punteggio delle singole scale, ottenendo un profilo del coping del soggetto.

1.1. Somministrazione del questionario e campione scelto

Il Brief COPE in questa ricerca è stato utilizzato per indagare le strategie di coping messe in atto da coloro che fanno parte delle Forze dell’Ordine e Armate.

Esso è stato somministrato attraverso un questionario anonimo a un gruppo di 20 soggetti, uomini e donne, scelti in modalità casuale.

2. Scoring

Le strategie di coping messe in atto dai soggetti per far fronte ad eventi altamente stressanti sono di diverso tipo, come ad esempio la risoluzione positiva, l’umorismo ma anche l’uso di sostanze, l’uso di supporto sociale emotivo ed altre di tipo cognitivo e comportamentale.

Dalle risposte ottenute è stata riscontrata una maggiore propensione degli operatori al voler affrontare operativamente la situazione che causa stress.

Dal grafico sottostante si possono osservare tali risultati.

Il buio dietro la divisa Il buio dietro la divisa

Una seconda modalità di risposta efficace risultante dai questionari è la capacità di accettare gli eventi e le situazioni per come si presentano.

Questo si evince dal seguente grafico.

Il buio dietro la divisa Il buio dietro la divisa

La maggioranza dei soggetti intervistati mette in atto in misura minore strategie di disimpegno comportamentale e negazione.

Infatti come mostra il grafico sottostante la maggioranza di essi abitualmente non rinuncia ad occuparsi della situazione.

Il buio dietro la divisa Il buio dietro la divisa

Anche per quanto riguarda la negazione, dal grafico si evince che i soggetti non negano ciò che realmente è accaduto.

Il buio dietro la divisa Il buio dietro la divisa

Conclusione

 L’ordinamento giuridico italiano negli ultimi anni ha raggiunto la consapevolezza che la sicurezza e la salute psicofisica dei lavoratori possono essere minacciate sia da fattori ambientali sia da fattori di natura psicosociale, gestionale e organizzativa.

Grazie a questa consapevolezza il 9 aprile 2008 fu approvato il D.lgs 81/2008 “Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro”, con cui l’Italia si allinea alle moderne strategie di azione elaborate dall’Unione Europea per contrastare lo stress lavoro-correlato.

Lo stress può essere considerato in modo positivo quando serve per spronarci ad andare avanti, ma diventa negativo quando le risorse presenti nell’individuo per rispondere alle richieste esterne sono esaurite.

Come gli individui reagiscono allo stress dipende dalle caratteristiche individuali, diverse in ogni persona.

Ogni essere umano ha un suo limite oltre il quale le richieste diventano stressanti, e questo limite varia in base alle differenze individuali e alla situazione.

Grazie al D.lgs. 81/2008 si presta molta attenzione ai rischi psicosociali; il loro effetto sulla salute psicofisica può essere sia diretto che indiretto e se non viene trattato nel modo corretto porterà al burnout.

Il burnout è una sindrome psicologica che il lavoratore sperimenta dopo essere stato esposto a situazioni stressanti, e i suoi effetti negativi possono verificarsi sia a livelli individuali che sociali.

Per affrontare le situazioni stressanti ci sono varie strategie di coping, metodi che una persona applica nel momento in cui deve far fronte ad un problema. Ci possono essere coping centrati sul problema, sulle emozioni o l’evitamento.

Le professioni che sono più esposte a rischi di stress psicosociale sono le professioni d’aiuto di cui fanno parte anche le Forze dell’Ordine e Forze Armate.

Gli operatori che svolgono questo lavoro partecipano alla sofferenza umana e sono testimoni diretti di situazioni problematiche, inaspettate e altamente stressanti che incidono sul loro benessere psicofisico.  L’esposizione a numerosi eventi traumatici può portare a disturbi di stress post-traumatico.

Diversi studi dimostrano che lo stress nelle Forze dell’Ordine e Armate è alimentato anche dalla loro cultura informale, dai turni pesanti e dalla difficoltà ad esprimere i propri sentimenti ed emozioni. Quest’ultimo aspetto è ritenuto uno dei principali fattori che portano al burnout.

Una forma d’intervento molto diffusa e importante di counseling psicologico è il debriefing. Esso è molto interessante ed efficace poiché consiste nel tentativo di far esternare liberamente i pensieri, le sensazioni e le emozioni collegate ad un evento stressante. Può essere praticato anche all’interno di un piccolo gruppo quando vari operatori sono esposti allo stesso evento traumatico.

Dal test Brief COPE somministrato ad alcuni lavoratori delle Forze dell’Ordine e Armate è emerso che le strategie che gli agenti mettono maggiormente in atto per risolvere i problemi sono l’affrontare operativamente la situazione che si presenta e l’accettazione di ciò che sta accadendo.

Anche noi possiamo aiutarli quando notiamo che si trovano in periodi di stress evitando che questo da semplice stress si trasformi in pericolose forme di burnout; è infatti importante che abbiano un grande supporto emotivo e che vengano ascoltati, ricordando sempre che svolgono un lavoro di responsabilità al servizio del nostro Paese. Essi infatti prestano giuramento per svolgere questa professione e assumono il loro incarico con orgoglio.

Ritengo quindi che, come loro pensano a noi adempiendo il loro lavoro, noi dobbiamo pensare a loro fornendogli tutto il sostegno di cui necessitano; credo inoltre sia davvero auspicabile che a livello istituzionale vengano attivate tutte le strategie e i supporti necessari a sostenerli, sia nelle situazioni ordinarie che in quelle straordinarie.

Ringraziamenti

In primis vorrei ringraziare il Professor Sartori, relatore di questa tesi, per la disponibilità e precisione avuta nei miei confronti durante la stesura dell’elaborato.

Un ringraziamento a mia madre che mi ha dato la forza per andare avanti nei momenti di sconforto e mi ha sopportata e supportata durante tutto il mio percorso universitario, senza smettere di credere in me.

Grazie al mio fidanzato che mi è sempre stato vicino dandomi forza anche nei momenti più bui, mi ha sempre sostenuta e aiutata nel portare avanti le mie scelte. Ha sempre creduto in me e ha sempre trovato un modo per rendere leggere le situazioni più critiche.

Un grazie a mio fratello che ha sempre avuto una frase pronta per non farmi mai mollare.

Grazie a mio padre che, nonostante sia stato severo in molti momenti, mi ha fatto capire molte cose della vita e non ha mai smesso di credere nelle mie capacità.

Infine, grazie a me stessa, ai miei sacrifici e alla mia forza di volontà per non aver mai mollato ed essere arrivata a questo grande traguardo.

Un sincero grazie a tutti.